L’essere umano ha sempre sentito il bisogno di condividere ciò che viveva e ha sempre usato la rappresentazione – dai primi graffiti nelle rocce fino alle moderne opere digitali – per questo scopo. Per condividere però è essenziale la memoria che è alla base di ogni contesto sociale organizzato e va, quindi, salvaguardata e protetta.
Un buon esempio di salvaguardia è l’archivio storico dell’Eni, ospitato a Castel Gandolfo (Roma) dal 2018, che ripercorre il lungo filo della memoria e ben racconta, attraverso migliaia di documenti, foto, audiovisivi, la storia dell’azienda, del suo fondatore Mattei e dell’Italia dai primi del 900 fino a oggi.
Un patrimonio di grande spessore, disponibile all’80% anche in versione digitale, che Eni mette a disposizione della comunità scientifica, dei ricercatori, degli studenti. Una storia ricca di informazioni, suggestioni, stimoli.
Ne Parliamo con Lucia Nardi, archivista e storica, responsabile dell’ufficio Cultura d’Impresa di Eni
Cosa racconta esattamente questo archivio? Quale la sua caratteristica peculiare?
L’archivio storico di Eni, inaugurato nel 2006, dopo un lungo lavoro di ricerca, selezione e ordinamento di diversi materiali, racconta in primo luogo la storia di un’azienda energetica nata quasi settant’anni fa, che ha inciso profondamente nella politica energetica italiana. Le prime scoperte in Pianura Padana, il lavoro dei pionieri in tutto il mondo, i rapporti con le diverse culture, le scelte contrattuali per collaborare con i Paesi produttori.
Una storia ricca di suggestioni, di sguardi sul mondo, di imprese estreme. Una storia di grande determinazione, di conquiste, di scontri con colossi del petrolio che, allora, negli anni Cinquanta, guardavano con sufficienza la “piccola” azienda dello stato italiano.
Ma poi, nel corso degli anni, hanno dovuto ricredersi e comprendere che gli uomini e le donne di Eni lavoravano per un progetto-Paese che passava dalla ricostruzione, dopo la Seconda guerra mondiale, e puntava dritto verso lo sviluppo e il riscatto. Questa forte volontà spiega la rapidità con cui l’azienda riuscì a guadagnare velocemente posizioni e arrivare ad occupare, nel giro di pochi anni, un posto di grande rilievo tra le imprese petrolifere mondiali.
Oltre a questa storia, in archivio sono anche presenti materiali di diversa natura, che accompagnano il racconto della società italiana, della sua cultura e della cultura del lavoro del nostro Paese. Dunque storia dell’industria ma anche storia sociale, economica e, naturalmente, geopolitica.
L’archivio è stato dichiarato, alla fine degli anni 90, di “notevole interesse storico nazionale” dal Ministero della cultura che ha così riconosciuto lo straordinario valore di questo luogo che raccoglie non solo documenti ma anche immagini di grandi fotografi, documentari dei nostri migliori registi, disegni tecnici di importanti architetti. Un vero “giacimento” di cultura e storia.
Infatti l’Archivio documenta anche le importanti collaborazioni avvenute tramite la rivista il Gatto selvatico – voluta da Mattei e diretta dal poeta Attilio Bertolucci – con scrittori come Leonardo Sciascia, Carlo Emilio Gadda, Italo Calvino, Natalia Ginzburg; registi come Giuseppe Bertolucci (che girò il documentario La via del petrolio) i fratelli Taviani, Vittorio De Seta, Giuseppe Ferrara, Gillo Pontecorvo; fotografi come Federico Patellari, Mimmo Jodice, Aldo Ballo, Bruno Stefani, Sam Waagenar.
Una ulteriore conferma del forte contributo culturale che l’azienda ha offerto al Paese. Ci può raccontare qualche aneddoto di quegli anni?
In quegli anni straordinari, tra la ricostruzione e il Miracolo economico italiano, ogni cosa era un cantiere. Ricostruire il Paese era il primo e più urgente impegno, un impegno di tutti, non solo del Governo, ma dei singoli cittadini. Dopo la ricostruzione, sulla spinta del grande lavoro e dell’entusiasmo che ha attraversato il Paese come una scossa elettrica, anche la cultura ha visto anni straordinari così fecondi da arrivare a “contaminare” l’industria.
Da questo punto di vista l’esperienza del Gatto Selvatico ci racconta di un dialogo tra intellettuali ed industria che rivela un rapporto di fiducia e reciproco interesse che poi, nel corso dei decenni, è diventato sempre più debole.
Dario Fo, attore molto presente insieme alla moglie Franca Rame nei Caroselli “Supercortemaggiore”, raccontava di come l’Azienda desse a loro e ai registi completa autonomia nelle lavorazioni, riconoscendo competenza e capacità e non entrando nel merito delle scelte di sceneggiatura. Allo stesso modo Attilio Bertolucci ha sempre sottolineato la non-ingerenza aziendale nelle scelte culturali della rivista.
In questo modo, accanto ai racconti delle nuove scoperte e dell’inaugurazione di nuove sedi operative o delle moderne stazioni di servizio, nell’archivio convivono splendide lezioni di storia dell’arte, recensioni di libri e film, racconti originali dei più importanti scrittori del nostro Novecento.
L’archivio è ora disponibile online - grazie ad un importante progetto di digitalizzazione - con oltre 62.000 documenti pubblicati e più di 1 milione e 900 mila pagine digitalizzate. In che modo la digitalizzazione ha aiutato la diffusione dei contenuti?
La digitalizzazione ci ha consentito, durante la pandemia, di lasciare “aperto” l‘archivio ai nostri ricercatori. Grazie all’importante lavoro di acquisizione digitale, che ha interessato le serie più consultate (Direzione per l’estero, Segreterie dei presidenti, verbali di Giunta e Consiglio, Bilanci) abbiamo addirittura incrementato il numero dei nostri studiosi e contribuito a creare una “cultura della ricerca virtuale” che, sempre più velocemente, sta modificando le abitudini degli storici.
La digitalizzazione ha anche un altro importante obiettivo: salvaguardare la conservazione delle carte. Il Novecento, infatti, è ricco di supporti e inchiostri che tendono ad avere problemi di conservazione. La digitalizzazione fissa per sempre l’immagine e garantisce la salvaguardia delle informazioni nel lungo periodo.
L’Archivio è anche luogo di formazione aziendale, elemento su cui Eni ha sempre investito: avete nuove proposte in programma sul piano formativo e culturale?
L’archivio storico, contrariamente a quanto si può pensare, è una realtà viva e vivace in grado di progettare momenti di confronto e approfondimento aperti al pubblico e alle scuole. Organizziamo aperture straordinarie (oltre ad essere aperti per visite di privati in qualunque momento) e soprattutto coinvolgiamo le scuole nella conoscenza dell’archivio e in generale nella riflessione sull’importanza delle fonti per la costruzione di un’informazione.
Il tema delle fake news e della costruzione di uno spirito critico attraverso la selezione delle informazioni, può essere affrontato in archivio con laboratori che danno concretezza a questa complessa tematica. Far comprendere la scala gerarchica tra la notizia reperita in rete, senza indicazione di provenienza, e la notizia verificabile attraverso le fonti che l’hanno prodotta, è il primo passo per creare cittadini consapevoli e attivi, in grado di dialogare sui temi più scottanti della contemporaneità con competenza e coscienza.
Nei corsi di formazione interni, l’archivio diventa protagonista nel racconto del nostro passato e dei nostri valori come elemento per conoscere la nostra cultura d’azienda. Un punto di partenza per fondare la nostra identità e il nostro spirito di appartenenza.
Qual è, oggi, il contributo più forte che ha lasciato Mattei?
Mattei ha “seminato” una serie di valori che col tempo sono stati coltivati e sono cresciuti. Oggi rappresentano il nostro modo di essere: coraggio, ricerca costante di innovazione, consapevolezza del ruolo dell’azienda nella politica energetica del Paese, predisposizione al cambiamento.
Tutti temi che hanno attraversato come un filo rosso la storia dell’impresa e che rimangono stabilmente come asset identitario dell’azienda. Mattei li ha costruiti e promossi. L’azienda li ha fatti propri e nel corso degli anni ne ha fatto la propria identità e cultura d’impresa. C’è un Eni’s way che è fatta della somma di questi modi, comportamenti, strategie, che ci ha reso allora e ci rende oggi. riconoscibili e diversi nel mondo.
Scuola e archivio storico: in che modo queste due realtà possono trovare un punto di incontro?
L’archivio storico è un contenitore di storie. Sia che si sfoglino gli album fotografici, sia che si scorrano le pagine di un fascicolo, la storia - raccontata dai diretti protagonisti - è sotto gli occhi di chi legge. L’archivio può insegnare ai ragazzi a leggere il passato attraverso le sue fonti (e non attraverso un’interpretazione) ma può anche insegnare quello che la Storia ci insegna da sempre: la lettura del presente.